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VARIABILITA’ ANALITICA E BIOLOGICA: PRENDIAMO ESEMPIO DALLA CONCENTRAZIONE URINARIA

Qualunque clinico vorrebbe avere dei “numeri” di laboratorio assolutamente affidabili, che senza alcun dubbio possano essere utilizzati per definire determinate situazioni fisiologiche o patologiche. Purtroppo, anche il più preparato degli internisti, spesso dimentica un particolare fondamentale: ovvero che questi “numeri” sono il risultato di misure analitiche e come tali soffrono di potenziali fonti di variabilità. Prendendo spunto da alcuni studi recentemente pubblicati sulla valutazione della concentrazione dell’urina del cane e del gatto (quello che molti di noi conoscono meglio come Peso Specifico urinario, PS), cercherò di illuminarvi su alcuni aspetti della medicina di laboratorio negletti dalla maggior parte dei clinici.

L’effetto della variabilità biologica.
Gli esseri viventi appartenenti ad una determinata specie non sono ovviamente tutti uguali. La diversità biologica è il motore fondamentale dell’evoluzione. Ogni veterinario è ben conscio delle differenze estreme che esistono ad esempio nei fenotipi delle diverse razze della specie canina. Quindi, come abbiamo recentemente commentato sul nostro blog, le differenze di razza possono essere molto importanti per interpretare un determinato dato di laboratorio. Lo stesso dicasi per altre variabili (sesso, età, stato di nutrizione, ecc.). Questa variabilità viene definita inter-individuale ed è ben comprensibile.

Più subdola è invece la variabilità intra-individuale: le nostre “misure biologiche” cambiano continuamente, pensiamo ad esempio alla glicemia, alla pressione arteriosa, al peso corporeo e così via. Queste variazioni possono essere circadiane oppure random e dipendere da tantissimi fattori (es. la dieta, l’esercizio fisico, l’assunzione di acqua, ecc.). Facciamo quindi l’esempio del PS urinario, che usiamo giornalmente per stabilire la capacità di concentrazione renale dei nostri animali. A tale proposito, siamo abituati ad utilizzare dei cut-off molto netti per prendere delle decisioni cliniche: un cane disidratato ed dovrebbe avere delle urine con un PS > 1.040 per poter dire che i suoi reni concentrino correttamente e quindi non ci sia un sottostante problema renale. Ma quanto può cambiare il PS urinario in un singolo individuo durante la giornata? Uno studio recente ha dimostrato che la variabilità del PS urinario nei cani sani su urine raccolte alla mattina per 6 giorni diversi nell’arco di 2 settimane, è in media di circa 0.015 (Rudinsky et al, JVIM 2019). Molti di questi cani avevano oscillazioni superiori a 0.020 (ad esempio da 1.015 a 1.040). Quindi, quando dobbiamo prendere decisioni diagnostiche o cliniche sulla base di una singola misura, dobbiamo sempre domandarci: ma può questo dato essere anomalo per effetto di una variabilità biologica intra-individuale? Il dato che ho osservato può essere giustificato da una condizione patologica oppure essere più banalmente il risultato di una variabilità giornaliera di quello specifico paziente?

L’effetto della variabilità analitica.
Quando misuriamo un analita e produciamo il nostro fatidico “numero” di laboratorio, un’altra cosa che i clinici sottostimano, è l’effetto della variabilità analitica. Tutti vorremmo ad esempio, che quando misuriamo la creatinia non ci sia alcuna differenza tra uno strumento e l’altro, così da poter confrontare liberamente i risultati ottenuti anche con diversi strumenti o laboratori di riferimento. Purtroppo questa è una visione utopistica e un po’ limitata del problema.

Ritornando all’esempio del PS urinario, gli stessi autori sopra menzionati, hanno valutato in un altro studio l’effetto della variabilità analitica dovuta all’utilizzo di refrattometri diversi per misurare la concentrazione urinaria (Rudinsky et al Vet Clin Pathol 2019). Ebbene, da questo studio è risultata in generale una buona correlazione ed agreement tra 3 diversi refrattometri, mentre un’altro mostrava valori meno accettabili. La differenza di PS urinario utilizzando diversi strumenti perfettamente calibrati, può superare infatti lo 0.005, che in prossimità di un cut-off diagnostico potrebbe farci cambiare la nostra interpretazione: pensiamo se un'urina che ha un PS reale di 1.040, venisse invece misurato come 1.032; trarremmo le stesse conclusioni cliniche? Oppure se invece che essere 1.010 fosse 1.005? Produttori di strumenti e laboratori di analisi investono molto tempo e denaro per ridurre al minimo le diverse fonti di variabilità analitica, e questo post non vuole di certo essere una dissertazione sull’argomento, in quanto richiederebbe un livello di approfondimento che probabilmente non interessa nessun clinico. Questo post vuole però essere di provocazione, per farvi aprire un po’ di più gli occhi sull’interpretazione dei risultati che ogni giorno vengono prodotti in un laboratorio di analisi. Quando li valutiamo e facciamo dei confronti tra numeri ottenuti in diversi momenti e/o con strumenti differenti, dobbiamo sempre tener conto che le differenze di risultati potrebbero essere riconducibili ad una sommatoria di variabilità: biologica + analitica.

Nello studio di Rudinsky et al (2019) è stato valutato inoltre un altro dato interessante, già studiato ampiamente in altri lavori passati: ovvero la correlazione e l’agreement tra la misura del PS urinario e l’osmolarità urinaria. Che differenze ci sono? Quale è più utile ed accurato nella stima della capacità di concentrazione urinaria?
Ve ne parlerò nella prossima puntata perché si tratta di un argomento specifico interessante.

Referenze:
Rudinsky et al. Variability among four refractometers for the measurement of urine specific gravity and comparison with urine osmolality in dogs. Vet Clin Pathol 2019.
Rudinsky et al. Variability of first morning urine specific gravity in 103 healthy dogs. J Vet Intern Med 2019.

Walter Bertazzolo, Direttore Scientifico di MYLAV

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