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Aggiornamento bibliografico

LA PROGNOSI DEL DANNO RENALE ACUTO NEL CANE

Per danno renale acuto (Acute Kidney Injury – AKI) si intende un’alterazione del parenchima a rapida insorgenza, in grado di causare una riduzione della funzione renale con conseguente ritenzione di scorie azotate ed anomalie elettrolitiche e dell’equilibrio acido-base.

Le principali cause sono legate ad una riduzione della perfusione renale (es. per shock, sepsi/SIRS, pancreatite o anestesia), ad infezioni (es. leptospirosi, pielonefrite batterica) e a sostanze nefrotossiche (es. farmaci FANS, glicole etilenico, intossicazione da uva, ecc.).

La prognosi dell’AKI storicamente è sempre stata considerata molto riservata, in quanto in precedenti studi la mortalità a breve termine si attestava intorno al 50%.

Inoltre nei pazienti con AKI, il danno a carico del parenchima renale può esitare in processi riparativi/compensatori che non sempre possono garantire un ritorno alla normale funzionalità: non è quindi raro lo sviluppo di una patologia renale cronica (Chronic Kidney Disease – CKD).

Due recenti studi pubblicati sul Journal of Veterinary Internal Medicine (Rimer et al 2022; Bar-Nathan et al 2022) hanno puntato l’attenzione sul follow-up e sui fattori prognostici nei cani con AKI, sia nel breve termine che nel lungo periodo, e sono emersi alcuni nuovi aspetti interessanti:

  • La mortalità a breve termine (entro due settimane dalla presentazione) è risultata più bassa di quanto riportato nella letteratura precedente (circa 2/3 dei cani sono sopravvissuti all’AKI). Questa differenza potrebbe dipendere dal tipo di selezione dei casi nello studio, da procedure di terapia intensiva più aggiornate (es. emodialisi) e da una forte motivazione dei proprietari a supportare economicamente una prolungata ospedalizzazione dei pazienti critici.
  • La presenza di polipnea, diarrea ed anuria erano rilievi clinici significativamente associati con una maggiore mortalità nel breve termine.
  • Alterazioni di laboratorio negativamente correlate con la prognosi a breve termine erano una riduzione della conta piastrinica e la presenza di anemia, la presenza di acidemia, iperbilirubinemia, un aumento degli enzimi epatici, una riduzione di proteine, albumina e bicarbonati.
  • Rilievi comuni all’esame urine erano: proteinuria, batteriuria, ematuria, piuria, cilindruria e glicosuria.

Figura 1. Cristalli di ossalato di calcio monoidrato in un sedimento urinario. Questi cristalli si possono rinvenire in corso di danno acuto da glicole etilenico.

  • Il 55% dei cani con AKI tornava a valori di creatinina normali dopo 30 giorni, mentre la restante parte rimaneva iper-azotemico (con un CKD IRIS stage 1 o 2).
    Di questi pazienti iperazotemici, circa la metà, tuttavia, si normalizzava  nel successivo periodo di follow-up a lungo termine. La possibilità di tornare normo-azotemico era correlata con la gravità dell’iperazotemia nel primo periodo. Pazienti con stadio IRIS dell’AKI più alto avevano infatti una maggiore probabilità di rimanere iper-azotemici rispetto a quelli con stadio IRIS più basso.
  • La mortalità a lungo termine nei pazienti che sopravvivevano all’episodio di AKI per più di 30 giorni, è risultata essere piuttosto bassa: circa 3/4 dei pazienti erano ancora vivi al momento del termine dello studio, con follow-up superiori anche ai 1000 giorni. La sopravvivenza a lungo termine era dipendente principalmente dall’eziologia sottostante ed era infatti migliore nei pazienti con una dimostrata eziologia infettiva.
  • Lo stadio IRIS dell’AKI era correlato con la sopravvivenza a breve termine, ma non era tuttavia correlato con i tempi di sopravvivenza a lungo termine nei pazienti sopravvissuti, e questo rappresenta un rilievo piuttosto sorprendente.
    La reversibilità del danno renale infatti dipende maggiormente dall’eziologia sottostante e dalle alterazioni micro-anatomiche renali che ne conseguono piuttosto che dal valore di picco della creatinina. Va sottolineato che lo stadio Iris dell’AKI non era definito dal valore di creatinina all’ammissione, ma al suo picco durante il periodo di ospedalizzazione. Il valore di creatinina all’ammissione non aveva infatti alcun valore prognostico.
  • I pazienti che venivano classificati come nefropatici cronici (con CKD di stadio IRIS 1 o 2) non avevano tempi di sopravvivenza nel lungo periodo significativamente più brevi di quelli con valori di creatinina normali: anche questo risultato è sorprendente e potrebbe però dipendere sia dal tipo di gestione clinica adottata che da meccanismi adattivi renali successivi all’episodio acuto.
  • Circa il 10% dei pazienti sopravvissuti a lungo termine sviluppava uno o più episodi nuovi di AKI nel periodo di osservazione.

In conclusione possiamo dire che in base a questi nuovi studi, la sopravvivenza a breve e a lungo termine nei pazienti con AKI è risultata essere migliore di quanto riportato in passato.

Sebbene una rilevante quota di cani sopravvissuti all’evento acuto possano sviluppare una CKD (circa il 25%), la corretta gestione dei pazienti sopravvissuti all’episodio iniziale di AKI ha condotto a tempi di sopravvivenza molto lunghi (> 80% vivi a 2 anni).

 

Bibliografia:

Dar Rimer | Hilla Chen | Mali Bar-Nathan | Gilad Segev. Acute kidney injury in dogs: Etiology, clinical and clinicopathologic findings, prognostic markers, and outcome. Journal of Veterinary Internal Medicine 2022;36:609–618.

Mali Bar-Nathan | Hilla Chen | Dar Rimer | Gilad Seg. Long-term outcome of dogs recovering from acute kidney injury: 132 cases. Journal of Veterinary Internal Medicine 2022;36:1024–1031

 

Walter Bertazzolo, Med. Vet. EBVS European Specialist in Veterinary Clinical Pathology (Dipl. ECVCP); Direttore Scientifico di MYLAV

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